Osservazioni COINLEX alla consultazione CONSOB.

Stefano Capaccioli

Oggetto: Osservazioni al Documento per la discussione del 19.03.2019 su “Le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività – Documento per la Discussione”.

I sottoscritti

  1. Stefano Capaccioli, dottore commercialista e revisore legale in Arezzo;
  2. Paolo Luigi Burlone, dottore commercialista e revisore legale in Novara;
  3. Giorgio Maria Mazzoli, Avvocato in Roma.
  4. Niccolò Travia, Avvocato in Roma.
  5. Massimo Simbula, Avvocato in Cagliari.

intendono apportare il proprio contributo alla Documento per la Discussione reso disponibile il 19.03.2019 con Consultazione pubblica da effettuarsi entro il 05.06.2019.

1. Premessa[1].

Il 31.10.2008 fu concettualizzato il Bitcoin, la prima criptovaluta il cui sviluppo e il cui successo ha aperto la strada ad una nuova possibilità di svolgere le proprie relazioni in maniera diversa; fino a quel momento, lo sviluppo di internet e dell’economia digitale aveva generato una nuova classe di attività: i beni digitali, beni immateriali esistenti in forma digitale (software, video, file audio, internet TV, file MP3, software, ecc.) con assoluta facilità di condivisione e di riproduzione.

Tali caratteristiche, alla base del loro successo, costituivano altresì il limite per la difficoltà di coniugare la proprietà privata con la possibilità di effettuarne copie infinite conducendo verso una legislazione repressiva, ma inefficace. L’unico sistema per creare una “proprietà privata” necessitava la soluzione di due problemi:

Scarsità: l’introduzione di una limitazione nella riproduzione e ridistribuzione di beni digitali rende possibile il controllo esclusivo;

Trasferibilità: la capacità di disporre di un bene tramite trasferimento esclusivamente ad un ricevente è una componente fondamentale della proprietà.

La soluzione di tali problemi conferiva degli attributi che erano alla base di qualunque forma di mezzo di scambio: un bene digitale digitalmente scarso e trasferibile, non solo permetteva l’esclusività, ma poteva essere utilizzato anche come una nuova forma di “denaro”.

Bitcoin risolse entrambi i problemi, generando una forma di proprietà privata completamente indipendente dalla giurisdizione o dalla legge, dato che le chiavi private (e dei bitcoin che ne sono controllati) sono di proprietà privata di fatto, non di diritto, peraltro non proteggibili con alcuna norma imperativa, se non quella alla base della protezione dell’identità digitale.

Da queste sintetiche e preliminari riflessioni si rafforza la convinzione che l’inquadramento giuridico della criptovaluta si pone quale sfida per l’interprete, dato che l’individuazione della natura giuridica conduce all’applicazione della normativa.

La qualificazione giuridica impone, a nostro avviso, un perenne ritorno agli assiomi, alle nozioni base, al diritto comune nella consapevolezza dell’ambiguità di fondo dello strumento, che, occorre ripeterlo, ha forme in continua evoluzione (poliformismo).

Occorre fare presente come, nel diritto comunitario, sia presente la definizione di valuta virtuale (Direttiva UE 843/2018 che ha modificato la Direttiva UE 849/2015), all’art. 3:

18) “valute virtuali”: una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente

Tale definizione, pur se effettuata a fini della normativa antiriciclaggio e relativa alle valute virtuali, deve costituire il punto di partenza, dato che il panorama, si è allargato e complicato ulteriormente, passando dalle criptovalute (valute virtuali) a schemi di emissione di rappresentazioni digitale costruite sopra le piattaforme delle criptovalute stesse[2], generando ulteriori problematiche, dato che le forme da analizzare si sono moltiplicate:

  1. Coin[3], intendendo per tali le rappresentazioni digitali che esistono all’interno del loro sistema e che non hanno alcuna utilità, la cui funzione si esaurisce in sé stessa.
  2. Decentralized autonomous organization (DAO) token, particolari token che permettono la gestione della piattaforma stessa[4], compresi i token rilasciati dalle DAICO[5].
  3. AppCoin, intendendo per tali i token la cui funzione è anche esterna e che possono incorporare diritti o ulteriori caratteristiche, categoria ulteriormente suddivisibile in:

3.1. Asset token, vale a dire token che danno diritto ad un bene, un servizio, una valuta[6]; potendo integrare anche la funzione di payment token[7].

3.2. Reward token, vale a dire token che danno diritto a ricevere parte dei ricavi di un’applicazione o parte degli utili predefinendo direttamente nel codice tutte le condizioni, anche nella forma di burn token, vale a dire quelli con forme automatiche di riacquisto secondo schemi di reward;

3.3. Access token, vale a dire token la cui funzione è quella di permettere l’accesso ad una applicazione, anche quale prepagamento della stessa;

3.4. Discount token, vale a dire token che permettono di accedere a beni o servizi con uno sconto in percentuale ovvero in una determinata e prefissata quantità;

3.5. Voucher token, vale a dire token la cui funzione è similare a quella di un buono che può essere riscattato su una o più piattaforme;

3.6. Valueless token, vale a dire token che non danno alcun diritto ovvero non hanno alcun valore intrinseco la cui funzione è nella titolarietà del token[8], con la conseguente scarsità;

3.7. Hybrid token, vale a dire che possono unire varie caratteristiche.

La ricerca di individuare categorie concettuali, in molti casi, avviene senza tenere presente il cambio di paradigma e quindi conferendo rilevanza alla caratteristica della cripto-attività che permette di farla ricadere sotto una categoria conosciuta ovvero sotto una definizione prevista da una normativa. Tale esercizio, pur interessante e fonte di ispirazione, sconta la parzialità dell’angolo di osservazione, con il rischio di ipotesi e tesi sconnesse dalla realtà operativa.

Occorre valutare le caratteristiche e le possibili utilità, iniziando dal punto di partenza che le criptovalute costituiscano prevalentemente un mezzo di scambio: è purtuttavia evidente che la qualificazione di mezzo di scambio (intendendo come qualsivoglia manifestazione suscettibile di essere trasferito e scambiato) implica e richiede la qualificazione quale “bene” in senso giuridico, interpretazione supportata dalla sentenza n. 18 del 21 gennaio 2019 del Tribunale di Firenze in cui si sottolinea che le criptovalute “possono essere considerate “beni” ai sensi dell’art. 810 c.c., in quanto oggetto di diritti, come riconosciuto oramai dallo stesso legislatore nazionale, che le considera anche, ma non solo, come mezzo di scambio”.

La categoria delle cripto-attività (macro contenitore) diventa pertanto una categoria giuridica liquida, se non aeriforme, ove il contenitore qualifica il contenuto.

Diventa di immediata percezione che sotto la definizione di cripto attività siano comprese situazioni radicalmente opposte, pur condividendo sempre le regole di circolazione totalmente diverse rispetto al paradigma attuale:

  1. Cripto-valute, la cui definizione comporta uno sforzo di inquadramento sulla base del diritto vivente, non esistendo una categoria concettuale e giuridica definita, pur partendo dal concetto di “bene giuridico”;
  2. Cripto-attività, il cui poliformismo, pur provenendo dal concetto di cui sopra, si evolve fino a tornare a categorie conosciute e già coperte dall’ordinamento, con un viaggio dall’ignoto verso il noto[9], pur con forme diverse rispetto a quelle conosciute.

 

2. Introduzione.

La premessa delinea i termini del problema e indica l’assoluta impossibilità definitoria delle Initial Coin Offerings, a meno che non si intenda regolare quelle già avvenute e di cui esiste uno storico, senza tener conto dell’evoluzione dello strumento e delle traiettorie di sviluppo.

La ricerca di comprimere una rivoluzione in corso in definizioni superate, pur se interessante da un punto di vista teorico, deve scontrarsi con una realtà:

  1. Le ICO promosse in Italia sono pochissime;
  2. Le ICO collocate in Italia sono molte;
  3. Gli Exchanger principali non sono in Italia;
  4. Paesi vicini (Francia, Malta, San Marino, Svizzera) hanno introdotto norme dichiaratamente volte ad attrarre tali fenomeni (pur con molte riserve).

Le ICO, inoltre hanno caratteristiche che le allontanano dai sistemi conosciuti, dato che

(i) la natura dei diritti acquisiti dal titolare dei token non hanno le stesse (giuridiche ed economiche) caratteristiche delle azioni o dei titoli di debito;

(ii) la natura dell’emittente dei token, che può non avere personalità giuridica;

(iii) l’utilizzo della tecnologia blockchain, che permette di lanciare una ICO senza utilizzare l’infrastruttura esistente dei mercati dei capitali (ad esempio senza banca depositaria) e senza l’intervento di intermediari;

(iv) il mezzo di pagamento del token, che generalmente non è possibile in moneta a corso legale ma, ma solo con valute virtuali che, pur non costituendo un mezzo di pagamento a corso legale, vengono usate come mezzo di pagamento (per esempio ether, bitcoin); e

(v) la pubblicità tramite World Wide Web e attuate attraverso reti decentrate, con promozione e raccolta transfrontaliera, senza necessità di rivelazione della nazionalità, della localizzazione o delle presenza in un determinato paese.

Le Initial Coin Offerings seguono poi un processo di sviluppo in tre fasi:

  1. annuncio (on-line), di solito attraverso la pubblicazione di un sito web dedicato e utilizzando i social network.
  2. Pubblicazione delle condizioni dell’ICO, attraverso il white paper,
  3. Se l’emissione dei token è stata completata con successo, i token di solito possono essere scambiati sul mercato secondario, costituito da varie piattaforme di trading dato che i token sono generalmente trasferibili e questo costituisce la terza fase (eventuale).

Se da un lato le ICO possono rappresentare una nuova frontiera del crowdfunding, dall’altro l’eterogeneità e la natura digitale e mutevole dello strumento deve far riflettere sulle possibili interpretazioni per applicabilità di norme e tutele per consumatori/investitori.

L’attività di definizione, al fine di comprendere sotto il TUF o meno, a nostro avviso è impossibile, dato che per natura le cripto-attività non si prestano ad una definizione condivisa e condivisibile.

L’attività da svolgere è diversa, più difficoltosa, ma rispettosa della natura delle cripto-attività e della filosofia sottostante alle normative e consiste nel definire precisamente gli ambiti di applicazione delle normative, migliorando le definizioni delle stesse.

L’ambiguità deriva dal fatto che la definizione di STRUMENTO FINANZIARIO non è prevista a livello comunitario, né tanto meno quella di PRODOTTO FINANZIARIO nel nostro ordinamento, generando incertezze che allontanano verso paesi che hanno chiarito gli ambiti o hanno operato esclusioni definitorie.

L’esclusione della nozione di cripto-attività dal concetto di prodotto finanziario e dagli insiemi degli strumenti finanziari potrebbe permettere un’attrattività del paese Italia (che oggi non vi è), salvo casi “eclatanti”.

 

 

3. Osservazioni Domande.

3.1. Q1: Si condivide la definizione di “cripto-attività” delineata nel Riquadro 1? Riesce la definizione a catturare le specificità rilevanti della cripto-attività rispetto all’approccio delineato nel presente documento?

R1: Definire le cripto-attività quali registrazioni digitali rappresentative di diritti connessi a investimenti in progetti imprenditoriali è del tutto fuorviante e conduce inevitabilmente l’intero ecosistema crypto verso una visione finanziario-centrica del network.

In realtà ciò che manca nelle pur pregevoli premesse fatte nel documento offerto in consultazione, è una analisi (per quanto nota ma fondamentale) su come è nato il network e quali sono le ragioni ultime che stanno dietro la rete che supporta la prima e più importante blockchain, ovvero quella di Bitcoin,

La partecipazione al network, ad avviso di chi scrive, non può e non deve essere necessariamente limitata al solo ritorno economico.

Vi sono, infatti, interessi del tutto esenti da finalità speculative e connessi invece alla volontà di fare parte di un nuovo movimento la cui caratteristica principale si basa sulla sicurezza che è, a sua volta, sostanzialmente influenzata non solo e non tanto dalle caratteristiche infrastrutturali del sistema, ma da quanto il sistema è distribuito e, soprattutto, dal suo livello di “adoption”.

Ecco quindi che i Token possono, si, rappresentare un prodotto o uno strumento finanziario se visti con gli occhi dell’investitore che intende approcciare uno specifico progetto e una ICO con l’intento di un ritorno finanziario, ma il fatto che il token possa più o meno crescere di valore non deve in alcun modo condurci automaticamente a ritenere che l’intero progetto sia paragonabile ad una banale forma di collocamento in Borsa. Anche perché è astrattamente possibile che non sia l’emittente del token colui che opera per una “quotazione”, anzi la stessa potrebbe essere fatta con il dissenso dell’emittente stesso.

Da questo punto di vista, attesa anche la voluta genericità con cui il nostro legislatore ha inteso inquadrare i prodotti e gli strumenti finanziari con una sorta di clausola “aperta”, qualunque oggetto potrebbe essere considerato un prodotto o uno strumento finanziario. Molto dipende naturalmente dalla natura del prodotto in vendita e soprattutto come viene promossa la sua vendita.

E’ quindi evidente che il ricondurre la definizione di cripto attività a investimenti in progetti imprenditoriali in ambito blockchain è chiaramente viziata dalla enorme crescita di valore che questi progetti (e i relativi token) hanno visto a fine 2017, destando la preoccupazione degli organi regolatori in molti paesi del mondo.

Tuttavia, se guardiamo con gli occhi del tecnologo e di colui che si occupa della realizzazione di progetti strutturati dove l’unione fa la forza e dove il maggior numero di utenti non è visto come una forma di raccolta di investimento ma come una via che possa garantire la stabilità del sistema stesso, l’accostamento al prodotto finanziario non appare così automatico.

Cripto-Attività potrebbe invece ben essere definita come quella attività attraverso la quale un soggetto o un insieme di soggetti intende partecipare ad una rete o network basato su tecnologia blockchain, attraverso l’acquisto (in denaro, criptovaluta o altra utilità) di appositi token connessi dalla rete stessa, con finalità di vario tipo.

 

Q2: In particolare, si condivide la centralità degli elementi della finalizzazione al finanziamento di progetti imprenditoriali, dell’impiego di tecnologia basata su registri distribuiti e dello scopo ultimo della circolazione delle cripto-attività in appositi sistemi di scambi?

No. Si veda Q1

 

Q3: Riesce la definizione ad escludere con chiarezza le fattispecie non idonee a costituire oggetto di trattazione secondo l’approccio delineato nel documento (i.e. pure commodity-token non destinati alla circolazione su circuiti di scambio di tipo secondario, valori mobiliari/strumenti finanziari come codificati dalla disciplina EU)?

 

La definizione sicuramente esclude con chiarezza altre tipologie di Token.

Tuttavia non è possibile, a priori, stabilire se un dato token inquadrabile come una commodity sia o non sia destinato alla circolazione su circuiti di scambio di tipo secondario (come i cosiddetti exchange). Si pensi infatti alle possibilità offerte dai cosiddetti Exchange Decentralizzati che potrebbero offrire in ogni tempo, anche successivamente, di procedere al “listing” dei token inizialmente non listati e ritenuti mere commodity.

Questo potrebbe comportare complesse conseguenze normative che si ripercuoterebbero, qualora il nuovo inquadramento fosse retroattivo, sulla iniziativa imprenditoriale originariamente avviata secondo diversi presupposti.

 

Q4: La disciplina vigente per strumenti e prodotti finanziari prevede regole all’ingresso volte a graduare i diversi presidi posti a tutela degli investitori; si condivide la previsione di una disciplina delle cripto-attività regolate che invece non contempla, ad esempio, soglie di valore per esenzioni (riferite alle emissioni sotto soglia) oppure maggiori presidi (per le emissioni sopra soglia)?

 

No, si ritiene necessaria la previsione di soglie per l’emissione, seguendo peraltro il Regolamento UE 1129/2017 con un approccio graduale (fino a 1 milione, fino a 8 milioni e oltre), per poter consentire a chiunque, soprattutto sviluppatori privi di grandi risorse economiche, di poter avviare e sperimentare progetti blockchain, grazie anche al supporto degli utenti che vogliono partecipare a tali progetti.

Ovviamente, per la emissioni sopra la prima soglia, potrebbe essere esplorabile di consentire a soggetti qualificati (ad es. Startup Innovative, società iscritte a portali di crowdfunding, ecc.) di poter avviare ICO senza dover essere soggetti alle regole previste per i prodotti e strumenti finanziari, rafforzando invece le norme a tutela dei consumatori e imponendo a tali società alcuni requisiti minimi (ad es. garanzie bancarie, capitale minimo sopra una determinata soglia, presenza nel CdA di soggetti qualificati, ecc.).

 

Q5: Si condivide la proposta di ampliare la gamma delle attività che possono essere effettuate dai gestori di portali di crowdfunding a comprendere anche la promozione di offerte di cripto-attività di nuova emissione? Si chiede inoltre di fornire motivazioni e/o dati a supporto dell’identificazione di eventuali sinergie/opportunità che possano scaturire dallo svolgimento di entrambe le attività, oppure rispetto a eventuali ragioni di contrarietà.

 

Si. Si condivide.

 

Q6: Si condivide la proposta di estendere lo svolgimento dell’attività di gestione di piattaforme per le offerte di cripto-attività anche a soggetti operanti sin dall’inizio ed esclusivamente in cripto-attività (ovvero che non abbiano già avviato un’operatività quali gestori di portali per le offerte di crowdfunding autorizzati dalla Consob)?

 

Si. Si condivide.

 

Q7: L’approccio delineato per lo svolgimento delle offerte in sede di nuova emissione di cripto-attività riesce a conciliare le caratteristiche del fenomeno con le esigenze di tutela degli investitori? Si condivide, in particolare, la previsione di un regime cosiddetto di opt-in, articolato nei termini sopra descritti?

 

Si.

Ma si ritiene non applicare la normativa di cui al Testo Unico Finanziario ma intervenire solo sul Codice del Consumo.

La soluzione opt-in è condivisibile.

 

Q8: Si ritiene opportuno, nell’ottica della maggiore tutela degli investitori, stabilire uno stretto collegamento fra l’offerta di cripto-attività di nuova emissione, realizzata per il tramite di piattaforme vigilate, e il loro successivo accesso a un sistema di scambi dedicato soggetto a regolamentazione e vigilanza (cfr. paragrafo che segue)?

 

No.

Sarebbe estremamente complesso nella pratica per le ragioni sopra esposte, anche in considerazione dell’evoluzione dei cosiddetti “exchange decentralizzati”.

 

Q9: Quali requisiti minimi si ritiene che debbano possedere i soggetti che emettono cripto-attività, affinché queste ultime possano essere accettate per la negoziazione?

 

Fino ad emissione per euro 1.000.000: NESSUN REQUISITO

 

Oltre 1.000.000 e fino ad emissione per euro 8.000.000.

1) Presenza di società di capitali con capitale sociale non inferiore a € 10.000,00;

2) Presenza di un White Paper pubblicato/depositato.

 

Oltre 8.000.000,00.

1) Capitale sociale non inferiore a € 50.000,00;

2) Avere quali soci con almeno il 5% del capitale sociale al momento della emissione uno dei seguenti soggetti: Incubatori certificati, Angel Investors qualificati (tale qualifica è in attesa di essere normata in Italia), SICAV, Università pubbliche italiane;

3) Presenza di un White Paper pubblicato/depositato.

 

 

Q10: La proposta definizione di “sistema di scambi di cripto-attività” è idonea a comprendere i modelli di business, allo stato noti, di circuiti per la negoziazione di crypto-asset?

 

No, dato che l’esclusione dei sistemi permissionless enucleata a pagina 13 entra in contrasto con le evoluzioni di mercato.

Le piattaforme di trading di cripto-attività spesso coinvolgono diverse linee di business:

(i) Exchanger, gestendo la piattaforma su cui gli acquirenti e i venditori scambiano valute virtuali e fiat;

(ii) in un ruolo simile a un broker-dealer tradizionale, che rappresenta i commercianti e esegue operazioni per loro conto;

(iii) come trasmettitori di denaro, trasferendo valuta virtuale e fiat e convertendola da una forma all’altra;

(iv) come operatori proprietari, comprando e vendendo valuta virtuale per i propri account, spesso sulle proprie piattaforme;

(v) come proprietari di grandi partecipazioni in valuta virtuale;

e, in alcuni casi,

(vi) come emittenti di una valuta virtuale quotata per conto proprio e altre piattaforme, con una partecipazione diretta alla sua performance.

 

 

Q11: I requisiti sopra individuati, il cui accertamento è condizione per l’attribuzione della qualifica di sistema di scambi di cripto-attività da parte della Consob, sono presidi sufficienti a neutralizzare i rischi connaturati alla negoziazione di cripto-attività?

 

No, non sono sufficienti perché non segmenta le attività possibili, dato che le linee di business e i ruoli operativi delle piattaforme di trading sono numerosi e sono esposte a rischi tradizionali e a rischi specifici del settore.

L’attività di sicurezza informatica e di protezione delle chiavi private costituisce un elemento fondamentale da proporzionare rispetto all’attività svolta.

 

Q12: I requisiti sopra individuati, il cui accertamento è condizione per l’iscrizione del sistema nel registro tenuto dalla Consob, sono presidi sufficienti a neutralizzare i rischi connessi alla custodia delle risorse finanziare, delle cripto-valute e delle cripto-attività da parte del sistema, nonché alla realizzazione di un regolamento efficiente e sicuro delle contrattazioni che avvengono sul sistema?

 

No, l’attività di sicurezza informatica e di protezione delle chiavi private costituisce un elemento fondamentale da proporzionare rispetto all’attività svolta.

 

Q13: Quali caratteristiche dovrebbe avere la blockchain al fine garantire un adeguato livello di sicurezza del registro distribuito su cui le cripto-attività vengono registrate e trasferite?

 

Occorre definire la semantica del termine blockchain, dato che la tecnologia deve essere utilizzata considerando il principio del rasoio di Occam[10]: esiste valore nell’applicare la tecnologia solo quando è la soluzione più semplice disponibile.

Data l’iperonimia della nozione di blockchain è imprescindibile analizzare ogni sistema e comprenderne le differenze, poiché l’individuazione degli attori, delle dinamiche interattive e dell’interfaccia con gli utenti diventa necessaria vitale per la susseguente analisi e conseguenze giuridiche.

Gli elementi rilevanti[11] risiedono nella (i) presenza di un ente centrale, che non deve intendersi sulla memorizzazione o conservazione dei dati, bensì sulla presenza di un entità o un gruppo di controllo che ha il potere di gestire il sistema di scrittura e di distribuzione, (ii) accesso, che può essere controllato autorizzato o meno sia nella scrittura ovvero nella lettura, (iii) livello di fiducia, da una totale assenza di fiducia (sistemi trustless) alla necessaria fiducia su alcuni o su tutti, (iv) pubblicità del registro, (v), identità dei partecipanti, passando dal pseudoanonimato alla identificabilità/identificazione, (vi) meccanismo di consenso, centralizzato o meno (con tutte le varie soluzioni proposte), (vii) qualità dell’asset gestito, potendo il registro gestire asset virtuali o meno e (viii) proprietà del sistema, vale a dire la natura open source o meno del software.

Usare un sistema blockchain rinunciando alla irretrattabilità e alla resistenza alla censura comporta l’inutilità di tale scelta: meglio un database centralizzato.

 

Q14: Si condivide la scelta di introdurre un meccanismo di “opt-in” per l’iscrizione nel registro dei sistemi di scambi di cripto-attività, che sarebbe tenuto dalla Consob?

Si.

 

Q15: In connessione con l’eventuale introduzione di un regime speciale per l’emissione e la circolazione delle cripto-attività, con l’obiettivo della tutela degli investitori, si ritiene opportuno che le autorità valutino la previsione di un regime transitorio in ragione del quale la prosecuzione degli scambi di token già emessi risulti possibile solo a condizione che l’organizzatore del sistema di scambi registrato presso la Consob abbia verificato la sussistenza e la pubblicità di adeguate informazioni per gli investitori sui token scambiati?

 

No, il sistema è virtuale e questo comporta che l’accesso sia libero.

 

Roma, 04 Giugno 2019

 

[1] Il tema di tale paragrafo sarà trattato compiutamente in un articolo sul Fascicolo 3 della Rivista di Internet, Pacini Giuridica, con il titolo “Aspetti operativi e ricadute giuridiche delle cripto-attività” da parte di Capaccioli, S.

[2] Tali emissioni sono denominate initial coin offerings (ICO) che è definibile quale operazione che si differenzia dalla offerta pubblica di titoli (IPO) , dato che (i) la natura dei diritti acquisiti dal titolare dei token non hanno le stesse (giuridiche ed economiche) caratteristiche delle azioni o dei titoli di debito; (ii) la natura dell’emittente dei token, che può non avere personalità giuridica; (iii) l’utilizzo della tecnologia blockchain, che permette di lanciare una ICO senza utilizzare l’infrastruttura esistente dei mercati dei capitali (ad esempio senza banca depositaria) e senza l’intervento di intermediari; (iv) il mezzo di pagamento del token, che generalmente non è possibile in moneta a corso legale ma, ma solo con valute virtuali che, pur non costituendo un mezzo di pagamento a corso legale, vengono usate come mezzo di pagamento (per esempio ether, bitcoin); e (v) la pubblicità tramite World Wide Web attuata attraverso reti decentrate, con promozione e raccolta transfrontaliera, senza necessità di rivelazione della nazionalità, della localizzazione o delle presenza in un determinato paese.

[3] Per coin si intende le prime forme di criptovalute che vengono usualmente distinte in bitcoin e altcoin, crasi di “alternative to bitcoin”.

[4] Per un’analisi si veda: Securities and Exchange Commission, Report of Investigation Pursuant to Section 21(a) of the Securities Exchange Act of 1934: The DAO, Release No. 81207, 25 luglio 2017. Il testo è disponibile all’indirizzo <http://www.sec.gov/litigation/investreport/34-81207.pdf>.

[5] Mix tra decentralized autonomous organization e initial coin offerings, intendendo un contratto con cui vengono posti vincoli agli emittenti per la gestione dei fondi ricevuti da una ICO; Buterin, Explanation of DAICOs, 06 Gennaio 2018. Il testo è disponibile all’indirizzo <https://ethresear.ch/t/explanation-of-daicos/465>.

[6] All’interno di questa categoria assumono un rilevo particolare i cd. stable coin, quali il tether, token cui è connesso un valore e quindi con “promessa” di stabilità anche se il tether non costituisce moneta elettronica intesa in senso stretto in quanto (i) non esiste la convertibilità e (ii) non viene emessa dietro la ricezione di fondi ma per ogni tether viene dichiarata l’esistenza di un valore (1 dollaro nel caso del tether dollar).

[7] Il payment token può assumere diverse forme dato che può essere nativo (bitcoin, ether, etc) che in questa classificazione viene definito quale Coin, o sintetico, vale a dire costruito nella forma di asset token

[8] Tutte le altre classificazioni proposte da altri autori non tengono in considerazione questa categoria particolare generata dall’introduzione dei token infungibile (ERC 721 su Ethereum). Un esempio di utilizzo i CryptoKitties, con spiegazione all’indirizzo  <https://en.wikipedia.org/wiki/CryptoKitties>.

[9] Un esempio sono costituiti dagli asset token con sottostante un bene: in tale caso il token può assumere la veste di titolo rappresentativo di merce, con il conseguente (e noto) inquadramento giuridico.

[10] Matt Higginson, Marie-Claude Nadeau, and Kausik Rajgopal, Blockchain’s Occam problem, Jan., 2019, in https://www.mckinsey.com/industries/financial-services/our-insights/blockchains-occam-problem

[11] NATARAJAN, H., KRAUSE, S., GRADSTEIN, H., Distributed Ledger Technology (DLT) and blockchain, 2017, FinTech note, no. 1. Washington, D.C., http://documents.worldbank.org/curated/en/177911513714062215/pdf/122140-WP-PUBLIC-DistributedLedger-Technology-and-Blockchain-Fintech-Notes.pdf; CPMI, “Digital currencies”, November 2015, https://www.bis.org/cpmi/publ/d137.pdf; HOUBEN, R.,  SNYERS, A., Cryptocurrencies and blockchain Legal context and implications for financial crime, money laundering and tax evasion, Policy Department for Economic, Scientific and Quality of Life Policies, Directorate-General for Internal Policies, PE 619.024 – July 2018 http://www.europarl.europa.eu/cmsdata/150761/TAX3%20Study%20on%20cryptocurrencies%20and%20blockchain.pdf, UK GOVERNMENT OFFICE FOR SCIENCE REPORT, Distributed Ledger Technology: beyond blockchain, 2015, https://assets.publishing.service.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/492972/gs-16-1-distributed-ledger-technology.pdf.

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